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Sindrome di Down, nel sangue materno adesso c’è una risposta attendibile

 


A cura della Dott.ssa Arianna Prada, ginecologa presso la Clinica Ostetrica e Ginecologica, Presidio Ospedaliero San Paolo, Polo Universitario, Milano


La Trisomia 21, meglio conosciuta come sindrome di Down, si verifica circa in un caso su 800 nati vivi, e rappresenta la più frequente anomalia cromosomica (aneuploidia) alla nascita. La diagnosi di certezza può essere fatta solo con una procedura invasiva (amniocentesi o villocentesi).

Questi esami, tuttavia, comportano un rischio d’aborto stimato tra lo 0,5 e l’1%, e per questo motivo sono proposti dalle linee-guida internazionali soltanto alle donne che presentano un aumentato rischio per tali situazioni. La ricerca clinica, negli ultimi decenni, ha puntato l’attenzione verso test di screening non invasivi che permettano di identificare queste gravidanze soggette al pericolo del Down.

All’esame cardine delle aneuploidie, ossia il test combinato (misurazione ecografica della traslucenza nucale del feto e dosaggio di particolari sostanze placentari nel sangue della gestante), si è affiancata negli ultimi anni la ricerca di DNA fetale libero nel sangue materno (CF DNA, ossia Cell Free DNA). Mediante un prelievo di sangue della donna, già a partire dalla decima settimana di gravidanza, è possibile effettuare l’analisi del DNA fetale libero e circolante nel sangue materno per individuare la presenza di anomalie cromosomiche verificatesi al momento del concepimento.

Il CF DNA è DNA placentare, e quindi verosimilmente sovrapponibile al DNA fetale che si libera nel sangue materno. L’attendibilità diagnostica è direttamente correlata alla quantità di DNA fetale analizzabile (frazione fetale), e varia a seconda del cromosoma studiato: per esempio, arriva al 99% per la trisomia 21, la trisomia 18 e la trisomia13, e raggiunge il 95% per la monosomia X. Le linee-guida attuali consigliano questo esame nelle gravidanze con un rischio al test combinato compreso tra circa 1:150 ed 1:1000. In caso di esito anomalo, viene comunque sempre raccomandato l’approfondimento con tecniche di diagnosi prenatale invasiva per confermare il risultato.

Evviva, sarà una bambina!

Trascorre così il primo trimestre, serenamente. Di nuovo mi sento fortunata perché sto proprio bene, non ho nessun problema fisico e la mia vita prosegue normalmente come sempre.  Tante mie amiche hanno invece passato dei mesi difficili tra nausee e disagi vari, molto comuni soprattutto nel primo trimestre. Naturalmente è il periodo dei primi esami medici. Fra i vari test prenatali, noi scegliamo di abbinare l’ecografia della traslucenza con il prelievo del sangue chiamato “DNA fetale”,  esame che adesso è processato anche in Italia, e in pochi giorni riceviamo gli esiti.



Avendo scelto un livello di analisi molto approfondito ed essendo gli esiti fortunatamente negativi, nel mio caso non è stato necessario eseguire l’esame diagnostico per eccellenza, seppur invasivo, conosciuto con il nome di villocentesi. Ben venga, non ci tenevo particolarmente.

Il DNA fetale ci consente non solo di conoscere (opzione facoltativa) il sesso del futuro pargoletto (è una bimba, evviva il girl power !), ma anche di comunicare la bella notizia ai nostri affetti. Il periodo più critico per un eventuale aborto spontaneo è ormai superato e ci si può finalmente rilassare.

Noi diventiamo genitori, i genitori diventano nonni, i nonni bisnonni, i fratelli e i cugini zii… Quanta gioia sta già portando questa scricciolina… e non è ancora nata!

Certezza sul sesso del bambino dal test del DNA del nascituro

Le risposte dei nostri specialisti alle domande più frequenti delle aspiranti e future mamme. In collaborazione con il sito del noto periodico “bimbisani & belli”.


Risponde il  Prof. Giovanni Porta, Professore Associato di Genetica Medica, Direttore del Centro di Medicina Genomica e della Scuola di Genetica Medica all’Università dell’Insubria di Varese.


Se avete quesiti su gravidanza e allattamento, scrivete all’indirizzo e-mail: redazione@asmonlus.it


Ho un dubbio: il test del DNA fetale nel sangue della madre dà una risposta certa per quanto riguarda il sesso? Sono incinta del mio terzo bambino, e i primi due sono maschi: è possibile che, facendo l’esame, venga individuata la “y” degli altri due bambini maschi di cui ero incinta prima di questo? Quanto rimane nel sangue materno il DNA del feto? Mi hanno detto che quello che aspetto attualmente è un maschio, ma il medico che mi ha fatto l’ecografia non ne è del tutto sicuro. Eppure il test del DNA ha detto che di maschio si tratta. Chiedo il suo aiuto.


Le gravidanze precedenti non possono influenzare il risultato del test del DNA fetale sul sangue materno che ha effettuato per l’attuale gestazione. Per quanto riguarda la determinazione del sesso del nascituro, l’accuratezza del test può superare il 99 per cento.

Probabilmente l’ecografia non è riuscita a visualizzare con chiarezza il sesso ed è quindi verosimile che la cosa migliore da fare sia quella di ripeterla tra un paio di settimane (ma anche addirittura più in là), o comunque quando il ginecologo presume che si possa individuare meglio il sesso di suo figlio.